Cesano di Roma

Racconti cesanesi: Lo Medico

Racconti cesanesi: Lo Medico

Racconti cesanesi: Lo Medico
febbraio 22
13:46 2024

Verso il 2007, se non vado errato, uscirono alcuni numeri di un altro giornale locale chiamato “Porta Nord“.

L’ho definito un altro perché da qualche tempo venivano distribuiti gratuitamente altre due pubblicazioni con notizie del territorio: uno era il bollettino “Cesano Informa” di Patrizia Belloni e Gabriele Colasanti, l’altro il più articolato “Il Socrate – so-di-non-sapere” che prediligeva argomenti culturali ed era emanazione dell’Associazione Volontari per Cesano promossa da Pino Cangemi, noto esponente della destra cesanese.

“Porta Nord” era invece la voce della sinistra cesanese, con in testa il nostro concittadino Vincenzo Marini Recchia, già in questo portale 10 anni fa con un suo bellissimo racconto (clicca qui).

Tra gli articoli scritti da Vincenzo c’è stato uno che narra uno spezzone di vita della Cesano degli anni del dopoguerra del secolo scorso relativo a quella che la maggior parte di noi ha conosciuto quasi esclusivamente come Libreria Lo Medico, sebbene a monte ci sia stato tutto un percorso fatto prima da Giuseppe Lo Medico nel 1947, poi dal figlio Giuseppe, il padre di Enzo, l’attuale titolare.

Prendendo spunto da questo articolo, ho chiesto ad Enzo il permesso per ripubblicarlo a distanza di tanti anni, ma anche di raccontare di più di lui, della sua famiglia e della libreria di Cesano, un punto di riferimento per Cesano Scalo che dal 1945 in poi si è sviluppato di fronte alla caserma, da Via di Baccanello, a destra e sinistra lungo l’asse di Via della Stazione di Cesano.

Anni ’60: incrocio tra Via di Baccanello e Via della Stazione. di Cesano [In primo piano le bombole di Gianni er bombolaro…] (Cortesia di Alessandro Ruiu, in Facebook)

Di seguito il bel ricordo di Vincenzo Marini, a seguire il racconto denso di particolari di Enzo Lo Medico.

Infatti, Vincenzo, ha un bel ricordo del padre di Enzo, Giuseppe (Ciccio) Lo Medico, leggiamolo insieme:

Come eravamo

Un ricordo di Vincenzo Marini.

Ciccio Lo Medico un’istituzione culturale, un amico

Ciccio Lo Medico era per i cesanesi del primo dopoguerra, così come lo si vede nella foto concessaci gentilmente dal figlio Enzo, giornalaio, libraio, sguardo ironico e battuta pronta sulla vita di tutti i giorni e non solo. La sua libreria è stata, per quelli della mia generazione, non solo il luogo dove cercare i primi libri della propria personale biblioteca, ma anche l’angolo dove rifugiarsi per fare quattro chiacchiere e commentare i grandi avvenimenti che hanno accompagnato i primi venti anni della nostra Repubblica. Socialista autonomista, Ciccio aveva con me, allora gruppettaro e marxista leninista, un rapporto sincero e affettuoso non scevro da un acuto senso critico. Negli anni sessanta le discussioni appassionate nella sua libreria di via della Stazione rompevano quotidianamente l’assonnata monotonia di Cesano Scalo.

La pazienza con cui ha inizialmente sopportato le mie difficoltà di studente squattrinato – almeno fino a quando il primo incarico non saltuario di insegnante di matematica cominciò a dare maggiori certezze al mio budget culturale – l’ho sempre considerata l’investimento di un amico. Ma non ero il solo privilegiato. Anche altri miei coetanei hanno sperimentato questo singolare – e non esattamente mercantile – approccio di Ciccio con i giovani clienti.

Avanti negli anni ho anche sperimentato un’altra passione del nostro libraio: il poker. E in questo rischioso gioco di carte Ciccio metteva tutto il suo acume psicologico, tutta la sua freddezza e il rispetto ferreo delle regole. Se vinceva era per bravura anche se certo non scevro da un buon rapporto con la fortuna. Osservarlo prima e giocarci qualche volta assieme, è stata una esperienza umana a cui sono rimasto particolarmente legato.

Giuseppe (Ciccio) Lo Medico con la sua bici e i giornali colto dal fotografo nella Scuola di Fanteria di Cesano di Roma (Cortesia di Enzo Lo Medico)

 

Dall’ingresso, parte della prima sala della libreria Lo Medico (foto A. Molinas)

 

Enzo la storia completa della libreria ce la racconta così:

In momenti difficili come quello che abbiamo vissuto ed ereditato dai tempi del Covid, la mente spesso spazia e vaga senza che ci si possa mettere nessun freno. Sono giorni in cui la nostalgia assale in modo quasi feroce, tornando alla mente nitide tantissime cose del passato, legate ai miei genitori ed alla storia della libreria. Ecco che il sistema migliore per cercare di frenare un po’ questa nostalgia è quello di scrivere. E allora racconto una storia. La storia della Libreria Lo Medico dal 1947 a Cesano.

La libreria Lo Medico, nasce agli inizi del 1947 con mio nonno Giuseppe (che purtroppo io non ho mai conosciuto) che si inventò questa professione, dopo tutte le difficoltà del periodo che vanno dal 1932 fino alla fine della seconda guerra mondiale. Difficoltà tremende, fame nera, miseria e disperazione per tutto quel periodo di tempo per lui e per la sua famiglia formata da lui dalla sua sposa, nonna Clorinda, e da due figli, una femmina, zia Lucia, una donna come poche al mondo con la quale la vita non è stata mai clemente non facendole mancare ogni tipo di sconforto e dolore dall’inizio alla fine avvenuta nel giugno scorso, e da mio padre Giuseppe. Al tempo i figli si potevano chiamare ancora con i nomi del padre, per cui mio padre si chiamava come il proprio padre. Un terzo fratello, Antonino, perì in tenerissima età.

Agli inizi del 1947, dicevo, nonno Giuseppe, detto Pino, pensò di cominciare a cercare di vendere libri e giornali partendo tutti i giorni da Roma, zona Pineta Sacchetti e venire a Cesano a piedi, seguendo la linea della ferrovia, poiché egli non si poteva permettere nemmeno il lusso del biglietto del treno, con una valigia al cui interno c’erano appunto qualche libro e qualche quotidiano. I clienti erano i pochi abitanti di Cesano e i soldati, sia di leva che gli ufficiali ed i sottufficiali della Scuola di Fanteria che si trova a Cesano stessa. E con lui al suo fianco, sempre mio padre che la mattina veniva a piedi a Cesano con il padre e poi nel pomeriggio, una volta tornati nella misera abitazione dove alloggiava la famiglia, nella bella stagione si andava ad allenare in bicicletta facendosi cento, centocinquanta e spesso anche più chilometri al giorno essendo lui un atleta della Lazio ciclismo.

Questo per circa tre anni. Agli inizi del 1950 nonno e papà riescono ad ottenere un piccolo spazio, insieme ad altri venditori vari di Cesano, all’interno della suddetta Scuola di Fanteria, ove riporre i libri ed i giornali che portavano da Roma. Essi non venivano più a piedi, ma il nonno riusciva a prendere il treno e mio padre invece veniva in bicicletta, con un canestro davanti al manubrio ed uno dietro al sellino pieno di quotidiani, riviste, libri. Si faceva una ventina di chilometri all’andata ed altrettanti al ritorno ma per uno come lui che era abituato agli allenamenti della Lazio ciclismo quelle erano poco più che passeggiate. Con la sua improvvisata bicicletta-furgone ci faceva anche le consegne a domicilio per chi ne faceva richiesta. La foto immagine del profilo della libreria e quella mia personale lo ritrae proprio in un suo giro di consegne.

C’è da sottolineare che oltre a venderli i libri mio papà era un grande lettore. Riuscì a coniugare il lavoro con il piacere della lettura. Si leggeva quattro cinque quotidiani al giorno e ogni libro di storia che usciva. Da solo riuscì a formarsi una cultura decisamente invidiabile. Una passione quella per la lettura che mai lo abbandonò.

Nel 1956 la Scuola di Fanteria decise che chi commerciava all’interno della stessa, doveva lasciare i locali ricevuti in locazione in modo immediato e definitivo, riguardando anche il canone di affitto fino ad allora elargito in modo retroattivo. In pratica li mandarono via e vollero dei soldi per gli anni in cui erano stati all’interno dello spazio militare. Papà e nonno si trovarono praticamente sul lastrico, indebitati e senza un posto dove poter ricominciare.
Del tutto casualmente e inaspettatamente, si libera un piccolo negozietto in via della Stazione 408, e i due riescono a ricominciare allestendo il locale con tanta grinta e tanta determinazione.

Nel 1956 stesso compare nella vita di mio padre una figura determinante e assolutamente insostituibile per quello che sarà il prosieguo della sua vita: mia madre Guglielmina Spadoni. Ci si fidanza e dopo tre anni la sposa. Una donna che ha fatto della dedizione a suo marito ed alla sua famiglia, che poi si completò con il mio arrivo nel dicembre del 1968, una ragione di vita.

Le cose piano piano nel nuovo negozio sembrano ricominciare ad andare benino. Certo il periodo è quello che è. Non circola molto denaro, ma ci si accontenta di poco. Si riescono a pagare i debiti contratti per pagare l’amministrazione della Scuola di Fanteria, si riesce a riempire il piccolo negozio di libri, si va avanti insomma. Papà fa su e giù con Roma per andare a prendere i libri da vendere e il suo fornitore principale diventa Gian Giacomo Feltrinelli, l’editore, che aveva la libreria in via del Babuino a Roma e dietro la libreria aveva il magazzino. Tra i due nasce una bellissima amicizia finita solo quando Feltrinelli muore nel 1972. La prima scaffalatura metallica del negozietto è proprio un dono di Gian Giacomo a papà.

Le cose dicevo sembra che cominciano a migliorare ma nel 1957 nonno Pino muore lasciando papà da solo a portare avanti l’attività. Fortunatamente papà aveva ormai l’esperienza adeguata per continuare il percorso incominciato dieci anni prima dal padre. Aveva qui 28 anni.

Nel 1959 prende in sposa mia madre che, come detto prima, diventa figura primaria e insostituibile nella sua vita. Poi lo sarà nella mia. Mamma oltre che moglie e donna di casa è sua collaboratrice nell’attività sostituendo papà quando egli deve spostarsi per andare ad acquistare merce. Perché nel frattempo pur essendo un negozietto di piccole dimensioni era riuscito a riempirlo di ogni altra merce non alimentare possibile. Su suggerimento del suo amico Gian Giacomo che nella sua libreria vendeva un po’ di tutto, aveva aggiunto cartoleria, macchine fotografiche, ricordi di Roma, foulard, borsoni da viaggio, pipe, e tanto altro ancora. Anche se la parte dominante dell’attività sono sempre i libri e i giornali.

Con il passar del tempo il piccolo negozietto diventa un punto di ritrovo per molti ragazzi e giovani della zona, che trovano un vero e proprio riferimento in quel negozietto e in quell’uomo imponente che dopo l’addio alla bicicletta e grazie alla eccezionale cucina della moglie ha messo su parecchi chili diventando per tutta la comunità amichevolmente “Ciccio”. In questo periodo è pressoché di casa un ragazzo che diventerà assiduo frequentatore e grandissimo amico dei miei genitori e poi mio: Vincenzo Marini Recchia che a buona ragione posso definire il più antico amico e cliente della libreria visto che è ancora sempre presente, fortunatamente.

Sono gli anni sessanta che volano in un baleno per Ciccio e Guglielmina i quali si dividono tra il lavoro al negozietto e la casa presa in affitto proprio dietro al locale stesso. Anni di lavoro duro ma anche di piccole soddisfazioni, nel rapporto con i clienti-amici, con i fornitori, con la vita di quei tempi. Lavorano pressoché incessantemente. Per loro non esistono domeniche, feste, ferie ecc. Lavoro, sempre lavoro ma con la gioia della loro vita insieme. L’unico cruccio era che non riuscivano ad avere figli. Fino a marzo del 1968 quando mia madre grazie alle cure di un ginecologo del policlinico Umberto I, formidabile ed all’avanguardia per il periodo, rimane incinta. Io di quel dottore ricordo solo il nome: Enzo. Il cognome sicuramente i miei me lo avranno detto, ma proprio non me lo ricordo per quanti sforzi faccia. Il 4 dicembre del 1968 vengo al mondo. Che mi chiamo con il nome che ho, appunto in onore al ginecologo che aveva in cura mia madre.

Da quel dicembre 1968 cambiano moltissime cose per la coppia. Innanzitutto pochi mesi dopo, nel marzo del 1969, riescono a costruirsi una casa in un appezzamento di terra che papà aveva comprato pochi anni prima ad un paio di chilometri dal negozietto. Firmando un numero decisamente elevato di cambiali ad un costruttore-amico dal cuore d’oro che ha costruito mezza Cesano dell’epoca, papà e mamma riescono ad avere la loro casa. Che è quella poi dove sono sempre vissuto ed ancora vivo io. Ma le cambiali firmate al costruttore-amico vanno però onorate e quindi ancora di più entrambi si gettano a capofitto sul lavoro. Cesano non è una metropoli, ma è in continua espansione in quel periodo. Molta dell’economia locale si regge sui soldati di leva e sui militari di carriera che svolgono il servizio nella Scuola di Fanteria. Sono veramente tanti in quel periodo. Tra ufficiali, sottufficiali, corsi vari e soldati di truppa ci sono qualcosa come quattromila persone, oltre gli abitanti del paese. Libri, giornali e mercanzia varia si vendono discretamente e il piccolo negozietto diventa…. troppo piccolo.

Con qualche pianto di mamma che era affezionata a quel posto, nel settembre del 1974, con lo scudetto appena conquistato da quella che per papà non era una semplice squadra di calcio, ma un vero e proprio ideale, la Lazio, ci trasferiamo in un locale molto più grande, quello dove ancora oggi è la libreria: in via Attilio Verdirosi, 15. Dico ci trasferiamo perché io, pur essendo piccolissimo, stavo tutto il giorno dentro il negozietto con mia madre e mio padre. Ci ho vissuto fin da subito in pratica. Ho ricordi nitidissimi di quel piccolo posto sommerso di libri e di ogni altra cosa in cui passavo le giornate. Qualcuno dei più antichi frequentatori della libreria che avrà la bontà di leggere questo scritto potrà confermare quanto dico. Io sono passato direttamente dalla pancia di mia madre a quella del piccolo negozietto.

Nel 1974 la libreria trasferitasi nel nuovo locale diventa molto più grande e più fornita. Sempre piena di volumi fa anche il servizio di libri scolastici per le scuole di Cesano e del circondario. Gli anni settanta sono anni frenetici. “Ciccio” è sempre in sella lavorando mediamente dodici ore al giorno tutti giorni, sempre ben coadiuvato dalla moglie Guglielmina. L’unico svago sono le domeniche pomeriggio quando gioca la Lazio in casa dove non manca ad una partita e dove dal primo febbraio 1976 comincia a portare anche me. Le domeniche pomeriggio quando la Lazio non gioca in casa al nostro piace farsi una pokerata con gli amici essendo lui un cultore del gioco del poker. Cultore e giocatore formidabile. Torno a prima: se c’è tra chi legge qualcuno che ha avuto modo di giocare con lui o di vederlo giocare sa che non esagero.

Passa veloce il tempo, la libreria funziona abbastanza bene. Gli anni di cui parlo sono un grande serbatoio culturale del Paese. C’è una grande produzione e la gente legge. La gente si informa, compra i libri ed i giornali, compra le enciclopedie. Non c’era una casa in quel periodo in cui non ci fosse una enciclopedia. Le più vendute erano quelle della De Agostini e in quella casa editrice, la cui filiale era in zona Monteverde, mio padre era trattato come un principe. Ne vendeva a dozzine al mese, di tutti i tipi: da quelle di cultura generale, le famose “E12” e “GE20” a quelle sugli animali , quelle di cucina e quelle di arte. Un tourbillon formidabile che lo portano ad arrivare ad essere il primo come fatturato di enciclopedie in tutta Italia.

No dico, rendiamoci conto. Uno che era partito dal nulla, venendo a Cesano per cercare di vendere qualche libro e giornale riposti in una valigia di cartone, facendosi venti chilometri a piedi all’andata e venti al ritorno e poi dopo facendo lo stesso tragitto in bicicletta, uno come questo che viene portato in palma di mano dai dirigenti di una delle più grandi case editrici italiane ed arrivando ad essere il primo in Italia per enciclopedie vendute. Fenomenale, semplicemente. Egli si era inventato due cose, molti ma molti anni prima di altri: consegnava a domicilio e si faceva pagare a rate. Piccole rate, e l’enciclopedia entrava in casa del cliente. Quando il medesimo non riusciva a pagare una rata, veniva comunque accolto con un sorriso e con un “fa niente aspetto la prossima”.

Gli anni settanta lo vedono protagonista anche nella sede del CNEN meglio conosciuto come Casaccia nella vicina Osteria Nuova. “Ciccio” ma che in Casaccia era chiamato con il diminutivo del suo nome, Peppe, tutti i giorni si carica la sua Cinquecento bianca (che poi diventerà piccola anche lei per via delle tante pubblicazioni da caricare e allora diventerà prima una Seicento azzurra, poi una 124 familiare verde per arrivare ad una 131 familiare bianca ed infine ad una Regata sempre familiare grigia) e porta libri e giornali all’interno del centro nucleare dove c’è una pletora di studiosi e scienziati che subito diventano clienti appassionati del banco, consistente in un tavolo da ping-pong riconvertito, dove Peppe esponeva mazzi di quotidiani, file di riviste e pile su pile di ogni tipo di libro possibile. Soprattutto quelli a carattere scientifico. Nascono in Casaccia delle amicizie straordinarie con uomini altrettanto straordinari. In assoluto diventa amico fraterno con Dario Malosti, per il quale veramente non ci sono parole che riescono a definirne la grandezza. Un amicizia che auguro ad ogni persona di vivere. Tra i due c’era un affetto che va oltre il semplice sentimento stesso dell’amicizia. Una cosa assolutamente straordinaria.

Passa il tempo, arriviamo agli anni ottanta dove c’è un primo netto calo delle vendite. I famosi anni ottanta dell’edonismo reganiano , degli yuppies, di quelli insomma che mettono tante altre cose prima dei libri e della cultura. Ma il negozio riesce a resistere vedendo sempre Ciccio e Guglielmina attenti anche alle piccole cose. Da metà anni ottanta entro in pianta stabile in libreria anche io, prendendo praticamente il posto di mamma. Papà mi dà consigli e direttive e io cerco di seguirlo. Anni di apprendistato possiamo dire. Perché se è vero che io sono praticamente vissuto sempre in libreria, prima nel piccolo negozietto poi in quello attuale, è anche vero che un conto è starsene seduto in disparte a leggere fumetti e un altro conto è cominciare a trafficare con conti, fatture, clienti e fornitori. Anni dove comincia quella che poi diventerà una vera e propria simbiosi con mio padre. Bastava un semplice sguardo e già mi faceva capire quello che dovevo fare. Se so fare qualcosa in libreria è tutto assoluto merito suo, senza ombra di dubbio alcuno.
Gli anni novanta vedono un rifiorire delle vendite, soprattutto nel reparto dei fumetti. La libreria diventa quasi una fumetteria, dove è possibile trovare anche edizioni rarissime di ogni tipo di giornaletto. Grazie a questo nuovo ramo si acquisiscono nuovi clienti, da ogni parte d’Italia anche grazie al passaparola dei tanti soldati che ancora affollano la Scuola di Fanteria e che provengono da ogni angolo della nazione.

Nel 1994 per Ciccio arrivano l’età della pensione e purtroppo anche due fatti gravi. Il primo è la sconvolgente perdita dell’adorata nipote Stella, la figlia della sorella Lucia. Il secondo è un attacco di cuore che lo porta ad un passo dal decesso. Aveva nel tempo preso troppi chili e continuava ad essere un fumatore inesorabile. Riesce però a salvarsi e in pochissimo tempo cambia radicalmente stile di vita. Perde trenta chili, smette subito di fumare e rinuncia anche al bicchierino del suo amato amaro Petrus. Dopo poche settimane torna in sella alla grande ed anche se è ora della pensione per lui di restare a casa e lasciare il negozio non se ne parla proprio. La licenza viene trasmessa a me, che ne divento titolare, ma solo sulla carta perché comunque il capo rimane papà.

Il 1994 è un anno fondamentale anche nella mia vita e nella storia della libreria.

Venivo da alcuni anni intensissimi, bellissimi, che una volta passati però lasciarono un senso di lacerazione totale. Pensai allora che l’unico rimedio fosse quello di gettarsi a capofitto nel lavoro. Quindici ore di lavoro al giorno era l’unico modo per cercare di lenire ferite mai rimarginate. È stato molto difficile riuscire a non perdersi in quel periodo. La libreria mi ha salvato. La libreria e la Lazio. Furono questi due elementi, il lavoro continuo in libreria e la Lazio a riempire, anche se solo parzialmente, il senso di vuoto che mi attanagliava.

Gli anni dal ’94 in avanti sono basilari nella vita del negozio. Io comincio a girare alla ricerca dei più disparati fornitori in ogni parte d’Italia e contemporaneamente tramite anche inserzioni pubblicitarie acquisiamo clienti in ogni zona della regione e anche delle regioni vicine. Decido di stravolgere la struttura, cambiando totalmente la scaffalatura e apportando nuove migliorie. Lavori incessanti, continui. Anni frenetici, di tantissimo lavoro e di grande crescita dell’attività. Papà stesso ne rimane stupito. Una corsa sfrenata fino al 1998 quando, in aprile, decido di stravolgere ancora una volta la libreria. In pochi anni l’ho cambiata per ben tre volte. Era anche questo un modo per sentirmi vivo. Fare, fare, fare sempre e sempre di più per tenere occupati il fisico e la mente. Cercare di migliorare sempre per non pensare ad altro.

E allora riammodernamento totale: nuova pavimentazione, nuova illuminazione, nuove vetrine, nuove scaffalature. Grazie al fondamentale aiuto del carissimo amico Luca Marini, con una fatica incredibile, superata forse solo grazie al fatto che avevamo entrambi trent’anni ed energia a profusione, compiamo l’impresa ed in due fine settimana (quattro giorni, due sabati e due domeniche) la libreria ha un aspetto totalmente diverso, nuovo e bellissimo. Con un reparto di libri per bambini favoloso. I clienti-amici non credevano ai loro occhi, considerato il fatto che abbiamo fatto tutti quegli stravolgimenti, restando aperti. A modo mio ovviamente, sul piazzaletto davanti al negozio con un banchetto io dal lunedì al venerdì, e papà i due sabato e le due domeniche quando io e Luca gli diamo da matti per rifare tutto. Veramente bellissimo a ripensarci oggi.

Papà è entusiasta del nuovo negozio. Ha egli sessantanove anni, ma è sempre in libreria e continua ancora a portare libri e giornali alla Casaccia. La libreria non ostante ci sia già un po’ di crisi in giro, riesce ad essere stabile ed a vivere un periodo di buon successo. Tutto fino al 30 dicembre del 1998, quando anche se eravamo in pieno periodo natalizio e ad un solo giorno dalla fine dell’anno io ero in giro per magazzini di libri quando mi arriva una telefonata tremenda: papà, che era in negozio, si è sentito male, è venuta l’ambulanza e l’hanno portato in ospedale. Io, che ero in zona tuscolana, con la mia vecchia Golf bianca, testimone di giorni bellissimi ma ormai viva solo nei miei ricordi, faccio una corsa assurda commettendo tutte le infrazioni possibili ed immaginabili e in mezz’ora sono all’ospedale San Filippo Neri dove trovo papà su una barella del pronto soccorso. Da li viene trasferito in reparto dove ha un attacco violentissimo ed entra in coma. Il 31 dicembre 1998 ed il primo gennaio del 1999 sono due giorni tremendi, papà è in coma ed io sono li vicino al suo letto con la speranza che si svegli. Il 2 gennaio papà esce dal coma, i dottori non riescono a capire niente di ciò che ha avuto, ma fortunatamente il cuore ha retto alla grande. Questo è un toro mi dicono. Sembra un miracolo. In capo ad una settimana è in piedi e il 23 gennaio viene dimesso. Cosa ha? Non si sa. Non sanno cosa rispondermi quando glielo chiedo. Papà torna a casa ma io, che lo conosco meglio di chiunque altro, lo vedo provato, stanco. Vuole assolutamente tornare in libreria e ci torna. Ma vedo che qualcosa non va. Passa il mese di febbraio la situazione a me sembra che non va per niente bene. Chiamo il dottore che era di stanza il giorno del ricovero in ospedale, gli dico le mie preoccupazioni. Mi risponde dicendomi di portarglielo il lunedì successivo presso il suo studio per una visita. Non faccio in tempo. La mattina di domenica 28 febbraio papà ha un altro attacco. Lo porto in ospedale, lo ricoverano subito. Dopo due giorni il dottore mi chiama, mi fa accomodare nella sua stanza dicendomi frasi di circostanza e mi da una notizia agghiacciante: papà ha un tumore al cervello. Dalla tac fatte il giorno del ricovero il 30 dicembre precedente non c’era nulla, in quella fatta in quel martedì 2 marzo c’era una massa enorme. Mi dice che proveranno ad operarlo per cercare di fare qualcosa ma che le speranze sono limitatissime. Anche in quelle condizioni ogni giorno che vado in ospedale a trovarlo, papà ancorché con l’uso limitato della parola, mi chiede della libreria. Che continua a stare aperta. La mattina ad una certa ora viene mamma mentre io sono in Casaccia dove intanto vado in sostituzione di papà dal sette gennaio precedente. Il pomeriggio mamma è in ospedale con papà ed io negozio con la testa però sempre in ospedale dove poi vado a fare le nottate. In una di queste notti viene con me anche un’altra persona che nella mia vita aveva ed ha ancora un’importanza fondamentale: Don Giovanni, parroco a Cesano per una ventina di anni, grandissimo amico dei miei genitori e punto di riferimento fondamentale per la comunità cesanese intera. Con Don Giovanni ci raccogliamo in preghiera la notte prima dell’operazione e il giorno dell’operazione stessa. Operazione che purtroppo non risolve nulla anzi forse peggiora pure la situazione ed il giorno mercoledì 24 marzo 1999 alle due di notte, papà muore. Aveva sessantanove anni e mezzo. Con lui se ne va un pezzo enorme di me, ma anche un pezzo enorme di Cesano. Ai suoi funerali due giorni dopo, celebrati da Dongio, c’è mezzo paese e mezza Casaccia. Grande il ricordo che questo uomo unico ha lasciato nelle persone che lo hanno conosciuto.

Il mio sconforto è inimmaginabile, vorrei andarmene con lui, ma c’è mamma a cui devo pensare. Lei non era semplicemente innamorata di suo marito. Per lei era tutto mio padre. Una storia d’amore come credo non ce ne siano tante altre al mondo. E poi c’è la libreria da mandare avanti. I sacrifici e le fatiche di una vita non possono e non devono essere persi. La libreria è stata fonte di vita per papà, per lui era una missione la sua libreria. E allora decido che l’unico modo per continuare far vivere il ricordo di papà e per continuare a vivere io è quello di lavorare ancora di più in negozio. Il dolore non mi lasciava nemmeno per un momento, e non mi ha mai lasciato in tutti questi anni, ma almeno il lavoro mi faceva sentire papà ancora vivo, ancora con me. Tutt’ora è così.

Purtroppo se io ho deciso continuare a fare questo lavoro e di continuare a vivere, altrettanto non si può dire di mamma. Lei il giorno stesso in cui è morto papà si è lasciata andare. Per lei la vita non aveva più senso. A nulla valeva cercare di spiegarle che era ancora giovane, che aveva un bel pezzo di vita da fare ancora, che io sarei rimasto solo. Rispondeva che se aveva ancora molta vita davanti era peggio, che lei senza suo marito non viveva. Che io avevo trent’anni, casa ce l’avevo, il negozio era solido. Non come loro due che avevano tirato avanti per molti anni tra debiti e cambiali. La mettevo con le spalle al muro dicendole che avevo comunque assoluto bisogno di lei che mi dava un aiuto fondamentale le due ore che stava in libreria la mattina. Le dicevo che comunque papà non avrebbe voluto questa sua rinuncia, che lei continuasse come se lui fosse ancora con noi. Per qualche tempo funzionava, poi ricadeva sempre nella tristezza e nel pianto. Andava ogni giorno al cimitero ed il giovedì che è chiuso era una tragedia. Il dolore che provava era troppo grande.

Nei tre anni successivi, dove non riuscì mai a trovare una ragione vera per continuare: l’afflizione, la sofferenza per la scomparsa di papà, l’ha portata ad ammalarsi anche lei. La notte del primo agosto del 2002, in preda a dolori fortissimi, deve essere ricoverata presso il policlinico Gemelli di Roma. Subito ai primi controlli risulta che è devastata da metastasi in tutto il corpo. I dottori non si spiegano come possa essere ancora viva. Lei lo sa. Non era perché avevo cercato di farle capire che per me era importantissima. No. Aveva deciso di tenere duro perché con la mia fidanzata avevamo programmato che in quel 2002, ad ottobre, ci saremmo sposati. Il giorno diciannove per l’esattezza. Ed anche in quel giorno, io volli ripercorrere la strada di mio padre. Come fece lui nel lontano 29 giugno 1959, giorno del suo matrimonio, che aprì il negozietto dalle otto alle undici di mattina, così feci io. Aprii la libreria la mattina, poi andai a casa alle undici mi vestii, presi mamma che quel giorno fu radiosa non ostante la malattia avesse preso ogni cellula del suo corpo, e mi andai a sposare. Il matrimonio lo celebra il mio Dongio. Fu quello l’ultimo giorno normale di mamma. Dopo due giorni la dovetti nuovamente ricoverare per i dolori lancinanti che la malattia le provocava e poi seguirono due mesi tremendi dove si spegneva giorno per giorno non ostante ogni mio residuo tentativo imponendogli anche terapie alternative, come la allora famosa cura Di Bella che non portarono effetto alcuno e il sei gennaio del 2003 mamma muore. Esattamente due mesi dopo avrebbe compiuto sessantasette anni. È stata lucida fino alla notte del 31 dicembre, quando in ospedale mentre Roma esplodeva nei soliti botti di capodanno mi diceva che stava andando da papà. Nei giorni successivi, immediatamente precedenti la sua morte, lei viveva nel suo mondo insieme al marito e mi ripeteva che si andava a sposare. Non mi riconosceva più ma mi diceva “mi sto andando a sposare”. I funerali vengono celebrati da Dongio che di mamma era amico fin dall’infanzia vissuta al borgo vecchio di Cesano nelle difficoltà estreme in cui si viveva nel periodo della seconda guerra mondiale.

Il 6 gennaio 2003 la mia vita cambia ancora in modo totale. La perdita di una mamma può capirla quanto sia grande solo chi l’ha provata. Da quel giorno in poi sono successe molte altre cose. La più bella a cui niente può nemmeno lontanamente essere paragonato è successa a mezzogiorno di uno splendente sabato 11 settembre 2004, all’ospedale Careggi di Firenze, quando è nata mia figlia Martina. Che da quel preciso momento è diventata per me fonte di ossigeno e ragione stessa della mia esistenza. Il mio rammarico più grande è che mamma non sia riuscita a vederla, sono sicuro che ne sarebbe orgogliosa. E in un momento così bello della mia vita non poteva mancare il mio Dongio che l’ha battezzata.

Della libreria da allora in poi c’è poco altro da dire. È rimasta sempre in piedi anche nei periodi più difficili, tipo quelli della grande crisi degli anni 2008, 2009, 2010.

Proprio nel 2010, più che altro per tornare un po’ ai tempi in cui c’era ancora papà, ho fatto un altro stravolgimento nel settore dei ragazzi con una ulteriore nuova e funzionalissima scaffalatura e rendendolo ancora più bello e fornito. Ai clienti questo settore piace molto e per me questo è motivo di grande soddisfazione. Come grande soddisfazione la provo quando entrano clienti nuovi, che magari hanno scoperto la libreria tramite internet o per il sempre attuale passa parola, che si complimentano per la fornitura e l’assortimento dei tanti libri esposti. È stata sempre una nostra caratteristica avere il negozio pieno di libri, sia delle ultime novità editoriali che di catalogo. E spesso mi rimangono moltissimi volumi che con il passar del tempo vanno fuori catalogo, diventano vecchi. Ma mi va bene lo stesso, mi piace lasciare negli scaffali anche testi diciamo, “datati”. Mi ci affeziono ai miei libri io. Contemporaneamente se non dispongo di qualche volume in negozio, lo ordino immediatamente e con celerità lo procuro al cliente. Un servizio che viene molto apprezzato.

Tutt’ora per me la libreria è la vita. Ormai superati i cinquanta anni ho ancora la stessa passione che avevo venti o trent’anni fa e questo credo che sia un’altra delle eredità ricevuta dai miei genitori. La passione in quello che si fa è tutto. È il motore essenziale affinché il lavoro venga svolto bene. E che questa passione e questa dedizione duri per molti e molti anni ancora perché sono sempre più innamorato dei libri e della mia libreria.

Ecco ho steso queste parole di getto, cercando di narrare una storia, la storia della libreria Lo Medico.

Ci sono molti riferimenti personali, soprattutto della vita dei miei genitori. Ma è la vita vissuta, quella di tutti i giorni, che poi fa la somma di tutte le cose che facciamo, delle scelte che facciamo, di come lavoriamo. Ci sono moltissimi riferimenti ai miei genitori perché è grazie a loro che questa realtà l’hanno costruita, praticamente dal nulla, ed è grazie a loro che siamo ancora qui. Dico siamo, perché loro due sono sempre qui con me, anche se non fisicamente.

Il loro ricordo è nitido e costante e sono parte integrante della mia vita e della vita della libreria Lo Medico.

In fondo, dietro al suo bancone, Enzo Lo Medico (foto A. Molinas)

 

Un ringraziamento di cuore va ad Enzo Lo Medico per la concessione ed al so racconto, ed a Vicenzo Marini per la pillola che ci ha regalato anni fa.

Alberto Molinas 22.02.2024 ore 22.55

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